L’esperienza dei discepoli di Emmaus, narrata dall’evangelista Luca (cfr. Lc 24, 13-35), costituisce una testimonianza paradigmatica della fede pasquale della prima comunità cristiana. Sin dalle origini, infatti, la Chiesa vive la celebrazione liturgica come l’esperienza bruciante (Lc 24,32) dell’incontro con il Signore Gesù e, da questa presenza, essa vede scaturire la gioia dell’annuncio e lo slancio della missione: “Davvero il Signore è risorto!” (Lc 24,34).
Il ciclo di Emmaus, del pittore Arcabas, ce ne offre una testimonianza eloquente. Nella scena finale l’artista sembra renderci testimoni del
vento impetuoso che ha sconvolto e trasfigurato la vita dei due discepoli delusi.
La sedia rovesciata a terra, la tovaglia sgualcita, i resti della cena, le candele ormai spente, ogni dettaglio ci rivela ciò che in quel luogo è avvenuto ma, al tempo stesso, la porta aperta sul cielo stellato ce ne rivela il mistero: la parola del Vangelo spalanca orizzonti inaspettati ed è chiamata a riempire di gioia il mondo intero! Per far sì che il vento dello Spirito possa ancora inebriare i cenacoli delle nostre assemblee domenicali, occorre
spalancare le porte alla presenza del Signore Gesù (cfr. At 2,1-13) e far sì che le nostre comunità diventino un luogo ospitale e accogliente.
Lo spazio del rito, infatti, costituisce quell’intermezzo di tempo sospeso che non ha lo scopo di intrappolarci dentro un’esperienza estraniante, ma al contrario, essa desidera condurci in una pratica della vita che ha come scopo quello di farci ritrovare il sapore della quotidianità trasfigurata dall’esperienza luminosa del Risorto (“lo riconobbero allo spezzare del pane”
Lc 24,31).
É infatti questa la sapienza eucaristica, il coinvolgimento nell’evento pasquale di una umanità chiamata a farsi segno del Signore Gesù, spazio e tempo per ospitare l’irruzione dell’ospite inatteso, venuto a spazzare via la tristezza del cuore, per spalancare dentro ciascuno orizzonti di
cielo stellato.

Arcabas, Emmaus