Come rappresentare il riconoscimento improvviso (si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero) dopo l’iniziale misconoscimento (i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo)? Come tenere insieme la presenza e l’assenza (ma lui sparì dalla loro vista) che già si sta profilando come realtà che da qui in poi sarà l’unica?

La scena ritratta è apparentemente semplice e spoglia, immersa in gran parte nel buio.

Cristo appare di profilo e in ombra, ma indietreggia come nello sforzo di spezzare il pane. La sua figura è riconoscibile dai tratti delle classiche rappresentazioni: è il Risorto con un volto umano, ma la sua presenza fisica dura solo un istante.

Il discepolo di fronte fa il movimento opposto, allontanandosi a sua volta. Ha una reazione spaventata, che la luce esibisce senza cautele, mostrandone l’aspetto dimesso e la fisionomia sgradevole. La sua sorpresa non ha nessuno dei tratti stereotipati.

Il secondo discepolo è appena visibile. Ma si scorge almeno lo sgabello riverso e la sua figura inginocchiata, gettatasi ai piedi di Gesù.

La stanza in secondo piano rivela una donna in controluce, presa dal lavoro domestico, eppure chinata nella stessa direzione del Cristo; così è anche per la sua immagine in ombra.

La povertà dell’insieme sembra rimandare alla nascita: la solennità convive con la quotidianità. È la sfida di far emergere l’incredibile in un’atmosfera familiare.

Il più è suggerito, perché quello che è in scena è l’irrappresentabile. E tu che osservi, che cos’altro vedi?

Maria Nisi
Scrittrice, docente di “Letteratura e religione” all’Issr di Torino e insegnante di religione presso liceo scientifico Gobetti di Torino

Rembrandt, I pellegrini di Emmaus, 1628 (museo Jacquemart-André, Parigi)

Rembrandt “I pellegrini di Emmaus” 1628. Museo Jacquemart-André, Parigi